La Pista

La storia di Patience


Associazione Alter Ego - Ufficio Migrantes (Diocesi Vieste-Manfredonia-San Giovanni Rotondo)

Non so se o meno una storia di riscatto, è senz’altro la strada che ho percorso sulle mie gambe per arrivare fin qui, della felicità che provo per poterla raccontare

Patience

La storia di Patience

Io ringrazio Dio per tutte le cose che ha fatto per me
Io ringrazio Dio per tutte le cose che farà per me
Anche se i miei amici sbattono la testa contro il legno, sbattono la testa contro la pietra,
Qualsiasi cosa che Dio ha disegnato per me io la terrò.

“Canticchio spesso questa canzone che custodisco gelosamente nell’hard disk della mia memoria. Un tempo tenevo traccia delle canzoni che scrivevo. Le ho conservate tutte in uno scatolone, in Sicilia, tra cumuli di roba che ho lasciato lì, frammenti di vita passata, ricordi di chi
sono stata”.

Il racconto di Agho Patience si apre con una ferita, una fenditura che lascia sbirciare una storia di sogni inseguiti, di aspettative disattese, di molteplici battute di arresto e rinascite, ogni volta da punti di partenza diversi.

Patience, 45 anni, è arrivata in Italia dalla Nigeria. Sin da bambina sognava di combattere le ingiustizie e diventare avvocata. Ma, si sa, i sogni di ciascuno di noi devono fare i conti con la realtà. A partire dal contesto in cui nasciamo. “La Nigeria può essere un posto meraviglioso o terribile, dipende dalla famiglia da cui provieni. Io, ad esempio, provengo da una famiglia numerosa, siamo undici bellissimi fratelli, cresciuti lontani. Per via di alcune ristrettezze economiche mia madre e mio padre hanno dovuto affidarmi alle cure di mio zio, quindi mi sono
trasferita in città all’età di sei anni. Grazie a mio zio ho potuto studiare e frequentare la scuola elementare ed è qui che ho maturato la mia passione per la giustizia. Da bambina pensavo che mi sarebbe piaciuto studiare legge, diventare un avvocato e combattere le ingiustizie, lottare
contro le disparità. Quando mio zio è venuto a mancare ho abbandonato gli studi e sono tornata dalla mia famiglia. Si frantumava il sogno di un’istruzione, all’improvviso ero costretta a rinunciare alle mie aspirazioni e a cedere al compromesso di una vita mediocre per amore
della mia famiglia. Ho lavorato per qualche tempo in campagna, con i miei fratelli, anche se ancora vagheggiavo l’idea di un futuro migliore”.

Ma quando tutto sembrava irrimediabilmente perduto, il sogno di poter proseguire gli studi e diventare avvocata sembra tornare concreto. Un’amica suggerisce a Patience di partire per l’Italia: “Ho pensato che quella fosse la mia occasione per ricominciare. Ho preso le cose che
avevo e sono partita”. E invece già le tappe del lungo viaggio le fanno capire che non sarebbe stata così facile come immaginava: “Il viaggio è stato estenuante, durato tre mesi tra pullman, treni, aerei. Man mano che mi avvicinavo alla meta si materializzava davanti ai miei occhi l’Italia, la vita che mi aspettava. Nei miei occhi c’era tutta la mia famiglia: i miei fratelli, mio padre, mia madre. Erano tanti fotogrammi che si ripetevano in continuazione”.

Una volta arrivata in Italia, non essendo in grado di estinguere il debito che aveva contratto per pagare il viaggio, è costretta a scappare. Così comincia il suo calvario lungo la nostra penisola, che dall’Emilia-Romagna la porta in Calabria, in Sicilia e, infine, a Borgo Mezzanone, nella Pista. “Ci sono ricordi che non voglio rievocare, mi fanno ancora troppo male”, dice Patience. In Calabria, lavora come donna delle pulizie, lavapiatti, lavoratrice stagionale. Diventa badante di un’anziana signora. “La paga era discreta ma dopo un po’ mi hanno diagnosticato un fibroma e hanno dovuto operarmi, il medico mi ha costretta a due mesi di convalescenza e ho perso il lavoro”. E così Patience decide di ripartire dalla “profumata terra di Sicilia”. Lavora come badante di un signore anziano di una famiglia benestante, ma quello che dovrebbe essere un rapporto di lavoro si rivela una forma di schiavitù. “Mi hanno tenuta prigioniera per lunghi anni, vivevo nel loro garage e accudivo questo anziano signore di cui ho di rado visto il figlio. Le mie giornate erano scandite dai suoi bisogni, lui viveva la mia vita al posto mio, per 300 euro al mese. Al mio arrivo mi erano stati promessi 600 euro al mese, ma restituivo metà della mia mensilità al mio datore di lavoro. Non era la vita che sognavo, ma mi accontentavo.

Nel tempo libero componevo qualche canzone che cantavo per tenermi compagnia mentre svolgevo le mansioni domestiche. Tutti in quella casa di tanto in tanto canticchiavano i miei testi”.

Un giorno arriva una telefonata inaspettata da suo fratello che invitava Patience in Nigeria per partecipare al battesimo di suo nipote. Al suo rientro, Patience non trova nessuno ad accoglierla, la porta chiusa, il telefono staccato. “Ancora oggi nessuno mi risponde, nessuno mi ha
restituito i miei effetti personali. Quel garage, dove sono stata per anni prigioniera, ancora oggi custodisce i resti della mia vita passata, il mio computer, i gioielli, le mie canzoni, i miei vestiti”.

“Della bambina solare e spensierata che ero è rimasto ben poco, ho creduto a lungo di essere nata nel posto sbagliato, nell’epoca sbagliata, nel mondo sbagliato. Privata di tutto, senza lavoro, casa, documenti, sono dovuta ripartire: avevo sentito parlare di un posto in Puglia dove
si lavora alla raccolta dei pomodori”.

In Puglia la aspettava “la più brutale delle tappe che ho toccato in questa disperata ricerca della felicità”: la Pista di Borgo Mezzanone. “Abitazioni di fortuna in cartone, legno, lamiere si estendevano davanti ai miei occhi senza che riuscissi a vederne la fine. Biciclette, tante biciclette. Era un crocevia di gente di ogni nazionalità, alla disperata ricerca di qualcosa. C’è chi resta in pista per poco tempo, chi ci resta per sempre, io alla sola idea di trascorrere tutta la mia vita nel ghetto rabbrividivo. Sono una donna riservata e ho cercato di non mettermi nei guai, ma i guai mi hanno raggiunta lo stesso. Per dormire in pista, in una casa di cartone, pagavo 5 euro a notte. Durante la mia prima notte lì mi hanno rubato il cellulare, la piccola scatolina nera che custodiva tutti i miei affetti: la mia famiglia ha perso le mie tracce per due anni. Dopo poco mi è scaduto il permesso di soggiorno e sono diventata una clandestina, un fantasma senza identità”.

Lì Patience lavora nei campi, durante le raccolte stagionali e rischia di morire due volte: assiderata, durante la gelata del 2017, e successivamente a causa di un incendio, provocato da una candela a carbone utilizzata per scaldarsi. “È vivido nella mia memoria il ricordo delle fiamme che divampavano a un palmo dal mio volto, mentre dalla mia bocca non usciva neppure un rantolo”.

Ma quello che sembrava un viaggio verso una sofferenza senza fine, trova un’inaspettata svolta. Patience incontra Dina, una volontaria, che la aiuta a ottenere i documenti, a intentare una causa giudiziaria ai danni della famiglia che l’aveva lasciata per strada in Sicilia: “Mi
devono 18.000 euro, ma non ho ricevuto nulla, ad oggi”.

Ora, Patience ha abbandonato la Pista, ha trovato lavoro in una fabbrica con un contratto regolare. È felice. E libera. Vive in una casa in affitto a Borgo Mezzanone e torna alla Pista solo per prendersi cura dei suoi cani. Inoltre, è entrata a far parte dell’associazione Ufficio Migrantes come mediatrice tra gli abitanti del ghetto e l’associazione, per aiutare chi, come è successo a lei, si trova in difficoltà. “Non sono esattamente un avvocato, ma, per quello che è nelle mie possibilità, mi impegno affinché possano essere ascoltate le voci di chi vive ai margini e affinché, seppure molti di noi non esistono anagraficamente, continuino ad esistere come persone, parte della comunità e, in quanto tali, siano tutelate e assistite”.

Con l’associazione “Alter Ego” sta pensando di allestire una scuola di italiano per gli abitanti del ghetto, che spesso hanno limiti linguistici e non riescono a comunicare i propri bisogni.

“Qualche anno fa, se mi avessero chiesto di ritrarre la mia vita, di fermarla in un click, avrei collezionato immagini della Pista, della mia casa di legno, di un passato difficile. Oggi, invece, ognuno di quegli scatti contiene un po’ della mia fatica, delle piccole vittorie di cui posso gloriarmi, della mia nuova vita normale. Non so se sia o meno una storia di riscatto, è senz’altro una storia di sacrifici, un resoconto onesto della strada che ho percorso sulle mie gambe per arrivare fin qui, delle battaglie che ho dovuto combattere da sola, delle piccole
vittorie di cui posso gloriarmi, della felicità che provo adesso nel poterla raccontare. Con me, del mio passato, porto qualche canzone, tanti volti e la consapevolezza di avercela fatta. Questa è la mia storia e io ringrazio Dio per avermi portata fin qui”.