Luci su Rosarno

La storia di Ibrahim


Mediterranean Hope – Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia
Storia Vincitrice - Premio Giuria Tecnica

Quel che sento è che dobbiamo aiutare fino all’ultimo giorno che avremo. Se un giorno dovessi abbandonare il territorio, mi sentirei un colpevole. Dobbiamo essere un giorno felici del lavoro fatto nel territorio, fieri di noi e dire alle nuove generazioni: avete ottenuto questo grazie al lavoro che abbiamo fatto noi, grazie alla lotta che abbiamo portato avanti fino al termine

Ibrahim Diabate

La storia di Ibrahim

Ibrahim Diabate arriva in Italia nel 2008 dalla Costa d’Avorio. Il suo non è stato il tragitto terribile e purtroppo diventato consueto dei migranti che arrivano sulle nostre coste dopo essere stati in Libia e aver attraversato il Mediterraneo. Ibrahim arriva a Fiumicino, con un regolare visto. In Costa d’Avorio era attivista e ha fatto più lavori: è stato agricoltore, commerciante, professore. Giunto in Italia, si trasferisce a Treviso dove trova lavoro per un’azienda agricola che all’improvviso fallisce. A quel punto si trasferisce a Roma, dorme al centro sociale Forte Prenestino. Dopo 6 mesi, gli giunge voce che a Saluzzo in Piemonte cercavano braccianti che raccogliessero frutta: kiwi, pesche. Anche se pagavano a nero, 25 euro al giorno senza contratto.
A Saluzzo resta due anni. Lì riprende il suo attivismo, si impegna nel comitato “Saluzzo anti-razzista” e per i diritti dei braccianti, quando, in Calabria, scoppia la rivolta di Rosarno contro lo sfruttamento e la violenza della ‘ndrangheta, dei caporali e degli imprenditori fuori
legge. A ottobre del 2010, dieci mesi dopo le proteste di Rosarno, decide di trasferirsi in Calabria.
“Meglio andare dove mancano tutti i servizi”, dice Ibrahim. “Nell’ottobre del 2010 sono arrivato a Rosarno e ho scoperto che era un territorio molto difficile dove mancavano tutti i servizi e con i compagni di SOS Rosarno abbiamo iniziato a lottare per la libertà del territori e
a difendere i diritti dei piccoli contadini e dei braccianti che sono sulla stessa barca. Anche a Rosarno ho fatto e ho raccolto mandarini e arance. “Quando è iniziato il progetto SOS Rosarno, ho avuto il primo contratto regolare a Rosarno con una paga di 48 euro al giorno, con la
possibilità di avere la disoccupazione, e lavorando 7 ore al giorno con una pausa pranzo di un’oretta. Era la risposta alla rivolta che era stata fatta mesi fa”.

Oggi SOS Rosarno è un’associazione impegnata in un’agricoltura rispettosa della natura e dei diritti dei lavoratori e sempre più diffusa nella rete dei gruppi di acquisto solidali (GAS). “Continuiamo a pagare i braccianti con la paga giusta, con le ore di lavoro giuste e con la possibilità di poter avere la disoccupazione. Più andiamo avanti più assumiamo braccianti per poter rispondere ai problemi del territorio. È un fatto sociale. Non è facile. Ma noi crediamo in quello che abbiamo iniziato e vogliamo portarlo avanti fino alla fine”.

A luglio 2019, tramite SOS Rosarno viene a sapere che Mediterranean Hope, progetto della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (FCEI), attivo sull’accoglienza e i diritti dei migranti, cercava un mediatore culturale. E qui inizia una nuova esperienza di lavoro per Ibrahim, che nel frattempo aveva frequentato un corso regionale di mediazione culturale finanziato con fondi europei e uno di formazione per operatori legali dell’ASGI. Con Mediterranean Hope lavora per trovare una soluzione ai bisogni dei migranti che vivono nei casolari e lavorano nei campi della piana di Gioia Tauro.

Insieme a Francesco Piobbichi, un altro operatore della FCEI, Ibrahim dà vita al progetto “Luci su Rosarno”, per illuminare tutte le strade della piana ed evitare incidenti ai braccianti che si muovono in bici.

“Quello che stiamo provando a fare è portare la luce. ‘Luci su Rosarno’ significa due cose: la luce vera, l’illuminazione. Le strade non sono illuminate. Ogni anno muoiono persone investite dalle macchine o perché lo fanno apposta, per razzismo, o perché non li vedono, perché molti
non hanno i giubbotti catarifrangenti, non c’è visibilità
Questa è una delle problematiche che stiamo combattendo per illuminare tutte le strade di Rosarno. Poi abbiamo fatto una discussione sulla pandemia, siamo andati nei diversi ghetti dove i braccianti vivono senza servizi igienici e noi abbiamo portato la luce per potersi muovere
all’interno dei casolari, poter cucinare o camminare nel buio dove vivono. Abbiamo illuminato sette ghetti, tra Rosarno e il famoso campo container. Facciamo la distribuzione delle lucette da mettere sulle bici e dei famosi gilet catarifrangenti. Stiamo cercando di non fare scoppiare una rivolta ora. Meno di una settimana fa sono stati investiti altri braccianti. C’è rabbia, c’è stanchezza, per niente può scoppiare un casino, la situazione può diventare ingestibile se l’autorità non prende le sue responsabilità.

E poi, facciamo luce sui diritti perché i ragazzi sono sfruttati. Vanno a lavorare dalle 5 di mattina fino alle 4 di sera, arrivano stanchi e quando arriva il momento della richiesta di disoccupazione si trovano nella busta paga 3 o 4 giorni di lavoro. Non hanno possibilità di chiedere la disoccupazione. Questo è il lavoro grigio”.

Ci sono tre tipi di contratto, spiega Ibrahim: “il lavoro bianco, che è quello che fa SOS Rosarno; il lavoro grigio, quando ti segnano pochi giorni di lavoro rispetto a quelli che fai effettivamente, in sostituzione del lavoro nero. Questo sta succedendo ora: con i controlli delle forze dell’ordine, il lavoro nero sta diventando lavoro grigio. Diritti non ce ne sono. Dobbiamo fare anche su questo la luce”.

I braccianti si stanno auto-organizzando per farsi alzare la paga da 25 a 30-35 euro. “Molti lavorano a cottimo, 90 centesimi o 1 euro la cassetta per le clementine, per le arance sono 50 centesimi la cassetta. Queste cassette vanno nella grande distribuzione. La grande distribuzione è il nodo cruciale di questa crisi. I contadini sono tra l’incudine il martello. Chi ha un pezzo di terra, che vive di questa terra, se non vende i prodotti alla grande distribuzione, deve risparmiare, e per risparmiare, lo fa sui braccianti, che è la parte debole della catena. Non per giustificare che devono sfruttare i braccianti ma questa è una conseguenza della grande distribuzione. I contadini hanno due scelte: o abbandonare proprio il terreno com’è o sfruttare i braccianti. Non puoi abbondare la terra quindi devi sfruttare i braccianti. È difficile rompere questa dinamica. Cosa si può fare? Chiamare la grande distribuzione al tavolo della discussione per dire: ‘Prendetevi le vostre responsabilità. C’è un problema sociale, voi state sfruttando un territorio: cosa guadagna un contadino? Cosa guadagna il territorio? Cosa guadagna un bracciante?’. La responsabilità sociale deve essere caricata sulle spalle della grande distribuzione.
Queste grande aziende che comprano le arance e i mandarini della piana di Gioia Tauro… devono spremere le arance, non i lavoratori!”.

Come Mediterranean Hope, Ibrahim sta portando avanti altri progetti per fare delle proposte al governo regionale (della Calabria). Ora l’emergenza è la pandemia: “Nel ghetto di Taurianova, la prefettura ha tolto l’acqua per 6 mesi da marzo proprio quando l’acqua era necessaria per potersi lavare e prevenire i contagi”. Insieme a MEDU e Croce Rossa, Ibrahim e Mediterranean Hope stanno lottando per portare i servizi igienici e garantire l’assistenza medica e sanitaria.
“Resterò in Italia per dare una mano fino all’ultimo giorno di vita che avrò. Non sono un sindacalista, sono un attivista”, racconta Ibrahim che alle sue esperienze di sfruttamento agricolo ha dedicato un libro di poesie ,“Yen Fehi, Bako. Canti di lotta e di amore”.

Le lacrime di Ibrahim

Piango,
quando vedo i miei fratelli soffrire,
piango,
quando mi alzo alle 4 del mattino per andare incontro
alle mie illusioni
nelle piantagioni di arance e mandarini
per la modesta somma di 25euro se non di meno,
piango,
quando vedo i miei fratelli che vivono nei ghetti
senza acqua e senza elettricità,
situazione quasi impossibile
e inaccettabile per l’umanità,
piango,
e mi fa male il cuore,
piango e soffro,
non ho nessuna ferita fisica e nessuna malattia clinica,
ma ugualmente soffro e piango,
piango, perché siamo vittime del colore della nostra pelle
qui e altrove,
piango,
quando vedo i miei fratelli italiani
chiuderci la porta dei loro cuori e la loro casa,
piango,
quando penso che ho lasciato la mia famiglia
e gli esseri che mi sono cari
per un’integrazione che non avviene,
piango,
le mie lacrime non scorrono, eppure piango,
soffro nella mia pelle, ferite ovunque,
intorno a me c’è lo spettro della desolazione,
piango
per le condizioni di vita dei miei fratelli
africani e non africani, quelli di qui e di altrove,
piango, piango e continuerò a piangere
finché non ci sarà giustizia, giustizia nel mondo,
piango, e mi vergogno
quando vedo i miei fratelli africani
sfruttati da altri fratelli africani,
piango
quando vedo i miei fratelli
uccisi vigliaccamente sul marciapiede,
dove fanno il loro lavoro causato
dal colore della loro pelle,
questo è razzismo, fascismo,
piango,
mi vergogno quando vedo i miei fratelli bianchi e neri
guardarsi male,
sto sanguinando dappertutto, la vita attorno a me
non è affatto rosa,
mi lacrimano gli occhi quando ci dimentichiamo
dei combattenti per la giustizia e la libertà,
nello sgorgare delle mie lacrime
guardo il mondo in faccia,
sperando che il domani sia migliore,
che l’orgoglio ipocrita degli uni e degli altri si sbricioli.
Piango
il mondo e il suo sistema che non dà alcun valore
all’essere umano.
Le mie lacrime non scorrono,
ma io piango.