Sfruttamento lavorativo, negazione dei documenti, condizioni di vita disumane, scivolamento verso lavori agricoli di raccolta, colpevolizzazione delle vittime. Sono queste alcune delle storie che ci arrivano sulle condizioni di lavoro e di vita dei braccianti sfruttati in agricoltura.
Oltre il ghetto è stata l’occasione di raccogliere le testimonianze dei percorsi di riscatto e di emancipazione condivise dalle organizzazioni di Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia che lottano quotidianamente sul campo per liberare dallo scacco dei caporali e delle mafie chi finisce in condizione di sfruttamento.
Quelle di seguito sono le 20 storie selezionate dallo staff tecnico del concorso, fra quelle candidate dalle diverse organizzazioni impegnate nel contrasto al caporalato, perché considerate maggiormente rappresentative dei progetti di emancipazione e liberazione dallo sfruttamento lavorativo.
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Eric Kodom arriva dal Ghana nel 2007. Finisce presto in una condizione di sfruttamento agricolo e sviluppa una forte dipendenza dall’alcol. A causa di un incidente perde quasi completamente l’uso di un occhio. Ma grazie alla sinergia di più servizi territoriali, Eric riesce a emanciparsi e a curarsi. Ora lavora nell’ambito dell’agricoltura sociale in Puglia.
In Italia dal 2016, Jennifer Monday entra presto nel giro dello sfruttamento. Finisce presto alla Pista di Borgo Mezzanone dove resta incinta. Qui inizia il suo percorso di uscita dal ghetto. Nel SIPROIMI di Molfetta Jennifer porta avanti la gravidanza e frequenta corsi di formazione per la ristorazione, settore in cui spera di trovare lavoro per poter crescere sua figlia.
Arrivato in Italia nel 2007, Papa Latyr Faye, detto Hervé, è mediatore culturale. La sua attività si struttura attorno all’Associazione ‘Ghetto Out Casa Sankarà, di cui è socio fondatore e presidente, una realtà impegnata nella lotta al caporalato e per i diritti fondamentali dei braccianti stranieri in Capitanata.
In Italia dal 2000, nei campi Babacar si spacca la schiena: dopo un intervento chirurgico la sua spina dorsale viene parzialmente “bullonata”. Nonostante questo Babacar continua a lavorare sotto i caporali. Nel 2018 conosce l’associazione Idorenin che lo aiuta a ottenere il permesso di soggiorno grazie al quale riesce ad avere un regolare contratto di lavoro.
Dopo lo sfruttamento a Borgo Mezzanone, Youssif Bamba, in Italia col sogno di diventare medico, fa di tutto pur di non tornare sotto i caporali: informatico, insegnante d’inglese, allenatore del Real Mezzanone, squadra di immigrati e italiani. Ora è mediatore culturale, animatore di “Radio Ghetto”, presidente dell’Associazione Immigrati per l’Integrazione e la Motivazione Sociale.
Amina arriva dalla Nigeria dietro la promessa di un lavoro dopo essere finita nel giro della tratta. Sul suo corpo porta i segni delle brutalità subite. Ma anche in Italia finisce nel giro della schiavitù e della prostituzione. Dal Nord Italia si trasferisce in Basilicata, nel ghetto de La Felandina. Nel 2019 insieme a Cestrim inizia il suo percorso di emancipazione.
Originario del Kenya, Duncan arriva in Italia grazie a una borsa di studio che gli permette di laurearsi in Scienze Gastronomiche a Bra, in provincia di Cuneo. Grazie alla laurea è riuscito a trovare lavoro presso la cooperativa Valdibella come assistente tecnologo alimentare. Il suo sogno: aprire un’azienda alimentare in Kenya.
In Italia dal 2016, Mbaye finisce nel ghetto di Borgo Mezzanone. Nel 2020 un incendio distrugge la sua baracca, ma grazie all’Orchestra dei braccianti (un progetto di “Terra Onlus!”) di cui fa parte da due anni, Mbaye trova una casa e un lavoro. Con la Cooperativa Sociale “Pietra di Scarto” ora coltiva pomodori su terreni confiscati alla mafia.
Il progetto “Della Terra Contadinanza Necessaria” nasce nella piana di Gioia Tauro-Rosarno per un’agricoltura che tenga insieme terra, lavoro, dignità. Si tratta di una realtà che lotta sul territorio, sviluppando progetti che riescano a svincolare braccianti migranti e piccoli contadini autoctoni dalla morsa delle regole dell’agricoltura della grande distribuzione.
Giunta dalla Nigeria dopo aver attraversato il deserto e il Mediterraneo e aver assistito a violenze in Libia, Presca è stata perseguitata dai suoi aguzzini anche a distanza mentre era in Italia. Nel 2019 finisce in un centro Sprar a Candela, in provincia di Foggia e nel 2020 viene contattata dalla Rete NoCap. È la via per la sua emancipazione.
Giunto in Italia dalla Costa D’Avorio, Mamadou lavora come bracciante agricolo stagionale. Dopo anni di sfruttamento nel settore del tabacco, decide di denunciare la sua condizione e avviare un percorso di fuoriuscita dal ghetto di Castel Volturno. Laureato in Lingue, Mamadou diviene prima mediatore linguistico culturale e poi operatore presso lo SPRAR di Caserta.
Emmanuel arriva in Italia dalla Libia. Lì era stato vittima di un agguato: sparato alle spalle, è rimasto zoppo a causa di una lesione del nervo sciatico. Proprio la sua invalidità lo risparmia dal lavoro nero. Dopo diverse vicissitudini finisce nel centro Sprar di Rionero, lì accetta di lavorare in agricoltura per la cooperativa Ripensarci, con un contratto di lavoro.
In Italia dal 2007, per tre anni Ibra fa il rider a Milano finché non viene contattato da un amico, senegalese come lui, per andare a lavorare nei campi della Capitanata, in Puglia. Il suo amico si rivelerà un “capo nero”. Dopo due anni durissimi, la svolta: grazie a un gruppo di associazioni viene formato al lavoro agricolo. Oggi Ibra è felice.
Cheick è un richiedente asilo arrivato in Italia nel 2017. Il suo procedimento si è incagliato più volte; il suo sogno è portare in Italia, prima o poi, la moglie e i due figli. Nei primi mesi a Lavello ha conosciuto lo sfruttamento sotto un “capo nero”. Ha una fastidiosa patologia che lo ha costretto a tre interventi chirurgici per rimuovere una patina che gli offusca la vista. Ora Cheick continua a lavorare nei campi, ma da uomo libero.
Khady, operatrice della Caritas di origine senegalese, ci ha raccontato la storia dell’aggressione subita da Kemo, gambiano, colpito da una “scarica di sassi” mentre lavorava nei campi della Capitanata. Dopo l’incontro con Khady, grazie alla Caritas, Kemo ha studiato italiano e ha trovato un lavoro in un’azienda agroalimentare di Foggia.